Ancora una volta abbiamo avuto la conferma di quanto sia importante l’uso della parola.
Dalla riunione straordinaria di ieri della BCE non è emerso nulla di particolarmente nuovo né è stato lanciato uno strumento particolare per combattere l’inflazione.
Salvo un dettaglio: l’aver tolto, nel comunicato finale, l’espressione “se necessario”. Il riferimento è alla possibilità di varare nuovi strumenti ad hoc per “tenere a bada” gli spread (la frammentazione, per usare una sorta di neologismo applicato alla finanza).
Si sottintende, pertanto, che qualcosa la BCE farà, che sia una sorta di PEPP di pandemica memoria o di OMT (Outright Monetary Transactions), ossia le operazioni monetarie definitive per i Paesi in difficoltà (quelle che il mercato e soprattutto i governi dei Paesi coinvolti apprezzerebbero meno o non apprezzerebbero affatto).
Intanto oramai si da per scontato che i circa €250MD di titoli acquistati con il programma Pepp verranno “reindirizzati”, nei prossimi 12 mesi, al riacquisto di titoli di quei Paesi che si trovassero con un differenziale (spread) nettamente maggiore rispetto ad altri e ad una soglia ritenuta a rischio.
Da quanto si è visto in questi giorni, quelli che hanno indotto la Lagarde a rompere gli indugi e convocare un vertice straordinario, questa soglia è, per il nostro Paese, 250bp: si riteneva fosse, sino a qualche giorno fa, 350, ma l’accelerazione successiva all’infausta conferenza stampa “lagardiana” di giovedì ha costretto la Presidente BCE (non è la prima volta) a correre ai ripari.
Di fatto non è stato annunciato, come detto, alcun nuovo intervento, salvo l’aver dichiarato che a Francoforte si sta iniziando a studiare qualche strumento “ad hoc”, che con tutta probabilità verrà annunciato nei prossimi giorni.
Fatto sta che è stata sufficiente questa affermazione per riportare sotto controllo lo spread, passato nella giornata di ieri, dai 252bp di martedì ai 227 di ieri (ma per un certo momento ha toccato i 214bp), con in BTP al 3,82%.
Non da meno la Fed: il Presidente Jerome Powell ha confermato un rialzo dello 0,75%, il più alto che il mercato ricordi dal 1994. Mossa che il mercato ha letto positivamente, interpretandola come la certezza, da parte della banca centrale USA, di intraprendere le iniziative più opportune per abbattere, o almeno “mettere in sicurezza” il problema inflazione. Probabile che da qui a fine anno seguiranno altri 3 o 4 aumenti, che potrebbe valere complessivamente l’1,75%: se così fosse in Usa ci troveremmo a fine anno con tassi tra il 3,50 e il 3,75%.
Avvio di giornata ancora una volta contrastato per i mercati asiatici: si avvia a chiudere in rialzo, seppur modesto, Tokyo, dove il Nikkey si trova a circa + 0,40%. Meno bene Shanghai e Hong Kong, rispettivamente a – 0,55% e – 1,60%.
Dopo un avvio positivo, virano in negativo i futures, con ribassi che toccato anche il- 1% sul Nasdaq.
Petrolio in crescita in avvio di seduta, con il WTI a $116,39, + 0,94%.
Gas naturale Usa a $ 7,544,+ 1,67%.
Oro a $ 1.830, + 0,51%.
Spread in leggero recupero in avvio di seduta, a 224,50 bp. BTP in area 3,85%. Treasury a 3.31%, con il 2 anni a 3,24%.
Ancora in rafforzamento il $: questa mattina Lo troviamo a 1,0408, vicinissimo ai massimi di periodo.
Cerca un recupero il bitcoin, in rialzo del 2,66% a $ 21.928.
Ps: anche la Russia ha la sua “Davos”, la sede di uno dei meeting economico-finanziari più importanti al mondo. Infatti si sta svolgendo a S. Pietroburgo lo Spief, il forum economico che in passato ha visto la partecipazione di Capi di Stato e di Governo di Paesi occidentali. Quest’anno chi sono i partecipanti? I rappresentanti di Afghanistan, Birmania, Venezuela…anche in quei Paesi vigono delle leggi economiche: non si sa quanto di “libero mercato”, ma esistono.